MGFF School in the city è un percorso costruito per il presente e per il futuro dei Ragazzi, tracciato dalla visione di film scelti allo scopo di sensibilizzare e affrontare, in presa diretta con i registi, tematiche importanti e contemporanee. Il progetto ha previsto il supporto fondamentale di Rai Play e MyMovies per la visione dei film e del giornalista Antonio Capellupo.
Il tema della criminalità organizzata è stato affrontato dalla III edizione del Magna Graecia School in the city con l’analisi del lungometraggio “Il giudice ragazzino” assieme all’attore Giulio Scarpati, protagonista della pellicola diretta da Alessandro Di Robilant.
Scarpati, che ha vinto un David di Donatello per l’interpretazione del magistrato siciliano, ripercorre con la memoria l’esperienza sul set e la preparazione del personaggio, di cui ha vestito i panni intorno al 1993.
Retroscena
«Ho cominciato a leggere vari libri su Cosa Nostra, ho incontrato vari magistrati che avevano lavorato con Rosario e, naturalmente, ho conosciuto i suoi genitori. Da come le persone parlavano di lui, cercavo di farmi un’idea di quale fosse il suo carattere ed è stato molto commovente per me.»
In assenza di materiale cartaceo e video, Giulio Scarpati racconta di aver iniziato a prendere possesso del personaggio durante la ricerca compiuta, in Sicilia. Ha raccontato agli studenti le remore di Livatino sulla scelta di entrare a far parte di fondazioni professionali o associative, allo scopo di non rischiare di incrinare la propria neutralità di giudice. «Lui credeva che un giudice dovesse essere indipendente e apparire indipendente, senza dar adito a nessun tipo di pensiero»
Quando moriremo non ci verrà chiesto quanto siamo stati credenti, ma quanto siamo stati credibili
Parole trascritte di pugno da Rosario Livatino e ritrovate tra i suoi appunti personali.
“Una persona molto determinata e molto pulita”, questa l’idea che l’attore ha tentato di trasmettere durante l’interpretazione di Livatino che, come sottolinea, non è mai voluto scendere a compromessi con la mafia. La lotta alla criminalità organizzata è il filo rosso che anima l’intero incontro, supportata anche dalla testimonianza di Don Giacomo Panizza, fondatore di Progetto Sud.
Tango contro la mafia
Attraverso la danza e il linguaggio teatrale, gli studenti del Liceo coreutico “T. Campanella” di Lamezia Terme hanno presentato un progetto originale dal titolo “Tango contro la mafia” per esprimere il proprio dissenso alla mafia. L’incontro ha favorito l’introduzione di forme d’arte non curriculari all’interno della scuola. A tal proposito, Giulio Scarpati ha commentato:
«Sono favorevole all’uso delle forme d’arte nella scuola, per stimolare i ragazzi a fare uscire le loro emozioni. Credo sarebbe molto importante se entrassero come materie scolastiche»
Consigli per il futuro
L’mportanza, per un attore, di lavorare sull’intuito. «Ho cominciato a pensare al primo problema: lui aveva un capo mafia come vicino di casa, viveva nel suo palazzo, si conoscevano sin da ragazzini e Livatino, ogni mattina, aspettava che questa persona uscisse di casa prima di lui per non incorrere nel rischio di incrociarlo e mettere in discussione la sua professionalità».
Fantasticare sui modi, i gesti, la routine di un personaggio, dalla postura che potrebbe assumere una persona mite e discreta durante l’attesa, al rispetto dei “paletti” dati dal ricordo che le persone care hanno di quella persona. «Quando si costruisce una finzione si cerca di essere vicini alla realtà» ha spiegato Scarpati, chiarendo come sia l’essenza stessa della realtà ad aver bisogno di essere mostrata nell’opera filmica.
Trama
Ambientato nella Sicilia degli anni ’80, il film è dedicato alla figura del magistrato Rosario Livatino, assassinato dalla mafia nel 1990 e che il 9 maggio 2021 è diventato il primo magistrato beato. Incaricato di svolgere le indagini sulle attività mafiose a Canicattì-Agrigento, il sostituto procuratore Rosario Livatino sospetta che l’asse del traffico di stupefacenti sia stato spostato proprio in quella zona. I suoi sospetti si realizzano quando scopre che è in corso una guerra per l’acquisizione del potere, tra due boss locali, Antonino Forte e Giuseppe Migliore, amico d’infanzia del giudice. Migliore infatti abita sopra l’appartamento di Livatino e, per salvaguardare la sua integrità agli occhi dei compaesani, ogni mattina aspetta che il boss esca prima di uscire a sua volta.
Il film racconta la difficile e lenta burocrazia processuala, le “talpe” all’interno della Procura e l’inevitabile omertà che circonda qualunque indagine legata alla malavita. Tra la vita professionale e personale, Livatino, il film giunge all’assassinio avvenuto la mattina del 21 settembre 1990 sulla strada Canicattì-Agrigento.